Con un linguaggio diretto e ironico, Pasquale Iezza lancia un progetto educativo che parte dalla conoscenza del corpo per promuovere rispett...
Con un linguaggio diretto e ironico, Pasquale Iezza lancia un progetto educativo che parte dalla conoscenza del corpo per promuovere rispetto, consapevolezza e prevenzione della violenza giovanile. Attraverso i suoi libri illustrati, Tutto sulla vagina e Tutto sul pene, l’autore invita a superare i tabù e aprire un dialogo libero e senza vergogna. In questa intervista racconta l’importanza di nominare le cose, usare leggerezza con profondità e costruire strumenti inclusivi per educare davvero.
Uno degli aspetti più potenti dei tuoi libri è il linguaggio: diretto, ironico, privo di vergogna. Quanto è stato complesso trovare la voce giusta per parlare a tutti, senza scadere nel sensazionalismo?
Nel linguaggio utilizzato nei miei libri ho cercato di evitare di ricadere nei due estremi, attenermi ad una terminologia rigorosamente scientifica e, dall’altra parte, ricercare un sensazionalismo con spunti moralistici; il percorso mi ha portato ad una terza via, la scelta di un registro ironico e diretto. Non mi è risultato difficile usare parole spontanee, a me vicine, vissute nel quotidiano. L’ironia per me è stata un ponte che mi ha avvicinato al lettore, annullando la distanza, permettendomi di toccare i vari temi senza appesantirli. Ho trovato la voce giusta che è stata quella di non voler scrivere per spiegare ma per avviare un dialogo.
Hai scelto di collaborare con Cinzia Cannavale per le illustrazioni. Quanto è importante la componente visiva in un progetto che parla di anatomia, identità e desiderio?
La componente visiva nel mio libro “Tutto sul pene” non è stata un semplice “abbellimento”, ma una parte integrante del messaggio educativo per dare un maggiore significato alle parole. Le illustrazioni sono frutto del talento di Cinzia Cannavale, la cui scelta stilistica delicata e rispettosa, ha mostrato immagini che invitano all’empatia, perché la sessualità non si studia soltanto, ma si guarda, si percepisce, si riconosce.
Il titolo stesso – “Tutto sulla vagina”, “Tutto sul pene” – è disarmante nella sua chiarezza. Quanto è stato importante, secondo te, dire le cose con il proprio nome?
I titoli “Tutto sulla vagina” e “Tutto sul pene” sono volutamente diretti, quasi disarmanti, perché volevano rompere il primo grande tabù: quello del linguaggio. Per troppo tempo abbiamo parlato di queste parti del corpo con giri di parole, soprannomi, eufemismi, oppure con termini medici che sembrano distanti o freddi. Come se nominarle chiaramente fosse qualcosa di sconveniente o imbarazzante. Ma le parole che scegliamo dicono molto di come ci relazioniamo con il nostro corpo. Dare il nome giusto alle cose è stato il primo gesto di rispetto, verso i lettori, usare i nomi corretti è un invito a eliminare la vergogna, a educare all’ascolto e alla conoscenza, per rendere accessibile e legittima una conversazione che riguarda tutti.
Hai parlato di “leggerezza che diventa occasione di riflessione”: come si può trasformare la curiosità in consapevolezza, evitando il rischio di superficialità?
Per me la leggerezza non è mai sinonimo di superficialità. È uno strumento che ti fa avvicinare a qualsiasi argomento senza una censura preventiva. Nei miei libri parto dalla curiosità perché è il motore più potente che abbiamo per imparare, è il punto di partenza che ti porta alla consapevolezza. E per parlarne con chi sta crescendo, o con chi educa, servono strumenti che non respingano, ma accolgano. La leggerezza serve a creare spazio: spazio per le domande, per il dubbio, per il confronto. Ma poi dentro quello spazio ho provato ad inserire contenuti solidi, informazioni corrette, parole che non banalizzano. L’obiettivo non è solo far sorridere o sorprendere, ma accompagnare chi legge a farsi delle domande più profonde, a guardare con occhi nuovi qualcosa che magari pensava già di conoscere.
Se avessi la possibilità di rivolgere una frase ai giovani lettori prima che aprano il libro, cosa diresti per prepararli al viaggio che stanno per intraprendere?
Se potessi dire una cosa a chi sta per aprire un mio libro, direi:
“Entra senza paura. Qui nessuna domanda è sbagliata, nessun imbarazzo è vietato, nessuna esperienza è troppo poco o troppo strana per essere accolta. Troverai parole dirette, ironiche, a volte spiazzanti – ma sempre pensate per farti sentire meno solo, più libero, più consapevole. Questo non è un manuale, è una conversazione aperta. E se qualcosa ti fa sorridere, riflettere, arrabbiare o pensare: bene. Vuol dire che stiamo viaggiando insieme”.